INTERVISTA AL DOTT. NICOLA SANTOBIANCHI (a cura di Riccardo Ageno)

É uscito un’articolo sulla gazzetta dello sport: “Stretching quando farlo? Prima o dopo l’allenamento?“,  in cui il Dott. Casalini, primario di ortopedia all’ospedale San Donato di Monza e medico dell’Olimpia Basket, analizza i pro ed i contro dello stretching e del release miofasciale.

Dato che è un argomento di grande attualità e di costante dibattito nel mondo degli addetti ai lavori, abbiamo intervistato uno dei nostri esperti del settore.

Il termine rilasciamento miofasciale o myofascial release è utilizzato per descrivere l’insieme delle tecniche di manipolazione e mobilizzazione dei tessuti molli utilizzate in diverse terapie manuali come il massaggio
connettivale, il rolfing e la tecnica strain-counterstrain.

La finalità del myofascial release è quella di riequilibrare e allungare la miofascia, riducendo le tensioni e sciogliendo le aderenze fibrose che si formano all’interno di questa.

La fascia è una rete tridimensionale di tessuto connettivo che attraversa in continuità l’organismo collegando il capo con le estremità delle dita dei piedi e gli strati superficiali a quelli più profondi.

A causa di fattori scatenanti, di cui uno dei principali è ovviamente l’overtraining, la fascia può “addensarsi” da uno stato più fluido alla consistenza di un gel, causando la comparsa di contratture, rigidità nei movimenti, tensioni tendinei e nei casi più gravi il dolore.

Grazie alle tecniche di rilasciamento miofasciale la fascia viene manipolata direttamente o indirettamente al fine di riorganizzare le fibre del tessuto connettivo che la costituiscono, rendendole più funzionali e flessibili.

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IL PARERE DELL’ESPERTO

Oggi ho avuto l’onore di intervistare il Dott. Nicola Santobianchi, Fisioterapista, Barefoot Training Specialist 3° Livello e Docente di Tecnica Gavilan.

Nicola collabora con i Survival Trail Runners da lungo tempo, sia per quanto riguarda la transizione alla corsa naturale, sia come fisioterapista per curare quegli infortuni che spesso purtroppo alcuni atleti si ritrovano a dover affrontare.

Oggi Nicola mi ha spiegato molto di ciò che sa sull’argomento del Release Miofasciale.

Ad oggi, gli studi scientifici presenti in letteratura evidenziano una non competenza dello stretching passivo statico come prevenzione degli infortuni.

Sono altresì importanti perché comunque una stimolazione della muscolatura in tensione isometrica manda un messaggio al nostro sistema nervoso: questo messaggio è diverso a seconda del tempo in cui applico
questa tensione al muscolo.

Sembra infatti che oltre i 45 secondi si abbassi la soglia di contrazione muscolare, per cui uno stretching statico prolungato ad inizio prestazione può addirittura essere controproducente al fine della prestazione stessa, dato che uno stiramento passivo prolungato della fibra muscolare può renderla meno pronta a sostenere una conicità più alta e quindi non potrà avere una risposta di contrazione più forte.

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IL RELEASE MIOFASCIALE

Nicola continua spiegandomi che per Release Miofasciale si intendono tutte le tecniche attive o passive in cui i tessuti vengono sottoposti ad una tensione (strain) di allungamento che, in base al tipo di attività, può essere modulata: se viene applicato uno stress lento, prolungato e poco invadente, si tende a rilassare il tessuto; se invece si applica uno stress forte, una sorta di attivazione tramite frizione superficiale aumenta il flusso sanguigno nella zona e si provoca un’eccitazione del sistema nervoso.

Un esempio classico è la differenza tra il massaggio pre-gara ed il massaggio rilassante.

Prima di una gara il fisioterapista è tenuto a fare manovre veloci per far affluire il sangue rapidamente e rendere le fibre muscolari pronte alla prestazione.

In un massaggio rilassante, invece, si utilizzano tecniche più lente, con pressioni minori e tempo di massaggio minore.

Anche il trattamento dei punti “trigger” può essere considerato un release manuale.

Premendo sul punto, non si fa altro che provocare un’ischemia localizzata: venendo meno l’ossigeno, l’organismo metterà in atto una serie di reazioni per le quali, col passare del tempo, il punto trigger andrà a
rilassarsi.

Tuttavia, spiega il nostro esperto, ci sono delle controindicazioni a queste tecniche: in presenza di lesioni muscolari, febbre, patologie muscolari o lesioni del tessuto in zona non si deve assolutamente fare un release
miofasciale.

Ovviamente poi sta al fisioterapista capire quando e come fare un eventuale rilascio, in relazione al tipo di prestazione ed al risultato che vuole ottenere, applicando come detto sopra manovre più o meno veloci.

In questo caso, applicare un release opposto a quello che serve per ottenere ciò che vogliamo può addirittura essere controproducente per la prestazione o il recupero.

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TEMPISTICHE DEL RELEASE MIOFASCIALE

Il consiglio di Nicola riguarda ovviamente il release miofasciale “fai da te”, quello che viene comunemente fatto a casa con uno strumento che qualunque atleta dovrebbe comprarsi: il foam roller.

Il foam roller è un grosso tubo di plastica ricoperto da una schiuma più o meno dura la cui funzione è quella di essere passato sui vari muscoli per poter effettuare una sorta di “effetto mattarello” ruotandolo avanti e indietro sulla zona dove voglio applicare un rilasciamento.

Non può essere ovviamente come un massaggio fatto da un professionista, ma per prevenire o risolvere piccole contratture muscolari o per effettuare un rilasciamento della muscolatura dopo sessioni di allenamento particolarmente pesanti, può essere sufficiente.

Il consiglio è quello di usare il foam roller per un tempo che vada da un minimo di 20 secondi ad un massimo di 45 secondi per muscolo, poiché dopo questo tempo non abbiamo più un grosso effetto.

Considerando un ciclo di allenamento in cui si effettuano sessioni di carico e di scarico, è consigliabile avere la sessione dedicata al release miofasciale il giorno in cui c’è il recupero attivo o addirittura il riposo.

Diverso è il caso delle persone sedentarie o poco allenate, in cui deve essere applicato con più regolarità.

Nicola consiglia sessioni brevi di massimo 5 minuti prima e dopo l’allenamento ogni giorno.

Ovviamente va sottolineata l’importanza dell’applicazione del release miofasciale in abbinamento ad esercizi di mobilità attiva, perché il condizionamento della muscolatura deve essere sempre attivo e passivo.

Quindi è giusto aiutare il nostro corpo ad aumentare il Range of Movement abbinando al release miofasciale tutta quella serie di esercizi che permettono di migliorare la mobilità con dei movimenti codificati nel rispetto della biomeccanica e delle funzioni di una o più articolazioni.

 

IL RISCHIO MUSCOLARE LEGATO ALL’INATTIVITA’ FISICA

Ma cosa succede quando, per un motivo particolare, siamo costretti ad un lungo periodo di inattività fissa?

Nicola ci rassicura del fatto che la scienza abbia ormai ampiamente dimostrato che per quanto ci voglia tanto per costruire una base di forza e prestazione muscolare, ci voglia ben poco per riuscire a mantenerla nel tempo.

Il condizionamento negativo è molto più probabile per i poco allenati, ma per coloro i quali prima del periodo di inattività erano ben allenati, ci vorrà molto tempo prima di iniziare a vedere un calo dei risultati che avevano ottenuto.

Ad esempio: il livello di allenamento allo sforzo aerobico riesce a rimanere costante per circa un mese.

La forza, invece, ci mette un po’ meno, circa tre settimane.

Da questi tempi lunghi di perdita dell’allenamento ne consegue che per un atleta allenato basta mantenere un minimo sindacale di allenamento per mantenere intatta la prestazione.

Va da sè che in caso di infortunio in cui non possa svolgere le attività per cui si allena, ad esempio correre, si può optare per tutta una serie di attività complementari che mantengano nel tempo i livelli di allenamento cardiovascolare e di forza.

Infine, il nostro Doc ci assicura che non è documentata la possibile formazione di eventuali aderenze muscolari a causa del periodo di inattività.

Sottolinea invece che tali aderenze possono formarsi e quindi peggiorare la mobilità e la prestazione a causa di abitudini di vita sbagliate, come una cattiva alimentazione o la tendenza alla sedentarietà.

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